1. Le sentenze non si leggono sui titoli
In questi giorni, ho letto numerosi articoli e post social intrisi di sdegno e indignazione nei confronti della decisione della Corte d’Assise di Venezia, che ha escluso l’aggravante della crudeltà nella condanna all’ergastolo di Filippo Turetta, responsabile dell’omicidio di Giulia Cecchettin.
Si tratta di reazioni comprensibili sul piano umano e sociale, ma pericolose se assunte come valutazioni tecniche. Le sentenze non vanno commentate a caldo, e soprattutto non si commentano senza averle lette per intero. Non basta il dispositivo. Non basta nemmeno un estratto. Bisogna entrare nelle motivazioni, comprenderne la logica, la coerenza interna, i richiami normativi e giurisprudenziali.
Questo è un dovere deontologico per chi esercita la professione forense, e un esercizio di civiltà giuridica per chi partecipa al dibattito pubblico.
2. L’aggravante della crudeltà nel diritto penale
L’art. 61, n. 4 del codice penale prevede un aggravamento di pena per chi commette un reato “con crudeltà verso le persone”. La giurisprudenza ne dà una lettura molto precisa e restrittiva: non ogni condotta efferata è crudele in senso tecnico.
Per integrare la circostanza è necessario che l’agente:
- infligga consapevolmente sofferenze ulteriori e gratuite alla vittima;
- ecceda la violenza necessaria a realizzare l’evento voluto;
- agisca con un dolo specifico di far soffrire, distinto da quello diretto a provocare la morte.
La Cassazione, anche nelle Sezioni Unite (n. 40516/2016), ha ribadito che la crudeltà non si presume dalla efferatezza, ma va dimostrata “al di là di ogni ragionevole dubbio” sulla base di indici concreti di infierimento consapevole.
“La pronunzia si rivela perfettamente aderente alle caratteristiche dell’aggravante: l’inflizione di lesioni eccedenti rispetto alla normalità causale, sorretta dalla perversa volontà di cagionare gratuite sofferenze fisiche o morali.”
3. Il nodo dell’inesperienza: 75 coltellate e nessuna crudeltà?
Il passaggio che ha suscitato più scalpore nella motivazione della sentenza Turetta è quello in cui i giudici affermano che le 75 coltellate non rappresentano un accanimento crudele, ma il frutto dell’inesperienza dell’imputato.
La Corte scrive:
“Turetta non aveva la competenza per infliggere colpi più efficaci, idonei a provocare la morte in modo rapido e ‘pulito’, così ha continuato a colpire alla cieca, in rapida successione, fino a rendersi conto che Giulia non c’era più.”
Questa ricostruzione non minimizza la violenza del gesto, ma esclude la crudeltà in senso tecnico-penale, ritenendo che l’agente non intendesse infliggere sofferenze gratuite, ma solo realizzare l’omicidio. Il gesto è caotico, non calibrato, privo di una dinamica sadica o punitiva.
In assenza di elementi che attestino una volontà autonoma di far soffrire – ad esempio ferite simboliche, mutilazioni post mortem, agonia prolungata – la giurisprudenza costante esclude l’aggravante.
4. La sentenza Melania Rea: crudeltà accertata per infierimento gratuito
Di segno opposto è la Cass. pen., Sez. I, 10 febbraio 2015, n. 8163, che ha riconosciuto l’aggravante della crudeltà a fronte di:
- 35 coltellate;
- sfregi post mortem (svastica, grata);
- una agonia prolungata;
- gesti simbolici, degradanti, estranei alla mera dinamica omicidiaria.
“L’infierimento inutile e le sofferenze gratuite qualificano la condotta in termini di crudeltà autonoma.”
L’azione fu ritenuta non impulsiva, ma strutturata e punitiva, con l’intenzione di degradare la vittima anche dopo la morte. Il caso è stato più volte richiamato come esempio paradigmatico di applicazione dell’art. 61, n. 4 c.p.
5. Confronto tecnico tra i casi Turetta e Rea
Elemento | Turetta (Cecchettin) | Rea (Cass. 8163/2015) |
---|---|---|
Numero coltellate | 75 | 35 |
Condotta post mortem | Assente | Presente (sfregi, siringa) |
Durata agonia | Breve | Prolungata |
Dinamica | Caotica, “alla cieca” | Progressiva, simbolica |
Movente | Rifiuto dell’autonomia della vittima | Gelosia, controllo punitivo |
Crudeltà ex art. 61 n. 4 c.p. | Esclusa | Riconosciuta |
Questo schema mette in luce la diversa struttura soggettiva e materiale delle due condotte, e mostra come la giurisprudenza non utilizzi automatismi nel riconoscere l’aggravante, ma richieda un’analisi indiziaria approfondita del dolo.
6. I punti salienti della sentenza Turetta
La Corte d’Assise di Venezia, nella sentenza n. 2/2024 (dep. 8 aprile 2025), ha affrontato con rigore tecnico anche gli altri profili del caso:
a. Premeditazione – Riconosciuta
La Corte ha ritenuto integrata l’aggravante per:
- la lista omicidiaria annotata sul cellulare;
- l’attuazione meticolosa di ciascuna voce (badile, sacchi, nastro adesivo);
- l’assenza di ripensamenti.
“Proposito omicida freddo, lucido, immune da interferenze emotive.”
b. Atti persecutori (art. 612-bis c.p.) – Esclusi
Secondo la Corte:
- Giulia non viveva in uno stato di paura;
- i comportamenti dell’imputato, pur ossessivi, non determinarono un’alterazione qualitativamente rilevante delle abitudini di vita della vittima.
c. Attenuanti generiche – Escluse
Le attenuanti sono state negate per:
- la gravità del gesto e dei motivi;
- l’assenza di collaborazione reale;
- il carattere freddo e pianificato dell’azione;
- il movente abietto: il rifiuto della libertà femminile.
7. Perché non si è applicato il nuovo reato di femminicidio
Il nuovo reato autonomo di femminicidio, introdotto nel 2025, non era applicabile al caso, in quanto i fatti erano anteriori alla sua entrata in vigore.
Il principio di irretroattività della legge penale più sfavorevole (art. 25, comma 2, Cost.) impedisce l’applicazione retroattiva.
8. Conclusione – Diritto, società e responsabilità del penalista
La sentenza Turetta non ridimensiona la violenza del gesto, né giustifica moralmente l’azione dell’imputato. Anzi, la Corte lo condanna all’ergastolo, senza attenuanti, riconoscendo la premeditazione e sottolineando la matrice patriarcale e possessiva del delitto.
Ma non confonde la violenza con la crudeltà giuridica. Distingue, come deve fare un giudice, il fatto dal diritto, la percezione dalla prova, l’impulso emotivo dalla valutazione tecnica.
Come penalisti, dobbiamo difendere questo metodo, anche quando la decisione ci disturba o ci interroga. Perché il diritto penale è anche uno strumento di garanzia, razionalità e civiltà giuridica, in cui ogni parola pesa, ogni circostanza va provata, ogni aggravante deve superare la soglia della prova.